capobranco

In cinofilia ci sono diversi miti che persistono nonostante l’evoluzione degli studi. Il mito che fra tutti resiste di più è sicuramente quello del capobranco. Le ragioni della sua esistenza non vanno cercate negli studi scientifico-etologici, ma piuttosto nel fatto che essere il capobranco ci fa sentire più forti (sono io il più forte e il più autoritario), più confidenti (sono io il comandante, ovviamente auto designato, altrimenti non c’è gusto…), e privilegiati (le regole, anzi, i comandamenti li scelgo esclusivamente io sulla base delle mie conoscenze, delle mie abitudini, delle potenzialità e dei miei comodi).

Ma come è nato il mito?

Nel 1947 l’ esperto di comportamento animale, Rudolf Schenkel, pubblicò «Expressions Studies on Wolves», un articolo nato da studi e osservazioni, negli anni ‘30 e ’40, di branchi di lupi presso lo zoo di Basilea. Per la prima volta fu introdotto il concetto di «lupo alfa», ovvero il capobranco severo e autoritario di una struttura sociale molto rigida. Schenkel descrisse comportamenti violenti tra i membri di alto rango (maschio e femmina alfa) e i membri di basso rango del branco. Da qui propose frequenti parallelismi fra lupi e cani, contribuendo a consolidare l’idea che entrambi i canidi avessero la stessa struttura sociale fortemente gerarchica.
Questa tesi era talmente accettata che persino il biologo naturalista (tra i massimi esperti mondiali di lupi) David L. Mech la avvalorò.

Ci sono almeno 2 cardini di questa tesi ad essere fallaci: il primo semplicemente è che le osservazioni erano condotte su lupi che vivevano in condizioni di cattività, con spazi e risorse limitate da difendere, inoltre erano frequenti accostamenti di individui adulti incompatibili tra loro: in queste condizioni anti etologiche i comportamenti aggressivi erano frequenti e spesso anche mortali; il secondo errore è fare il parallelismo tra lupi e cani, come se fossero lo stesso animale.

In natura funziona diversamente

Grazie a una continua evoluzione, studi successivi, aventi come oggetto di ricerca i branchi liberi, mostrarono tutta un’altra realtà fino a quel momento mai considerata: ad esempio Peterson (2002) e Sands&Creel (2004) che hanno studiato tre branchi, dai 7 ai 22 individui, di lupi liberi del parco di Yellowstone, hanno mostrato che in tutti e 3 i branchi i livelli di glucocorticoidi erano più elevati nei riproduttori di entrambi i sessi che nei subordinati, a testimonianza che tale incarico è una responsabilità gravosa e può finanche provocare l’infertilità. E lo stesso Mech, che inizialmente appoggiò la tesi di Schenkel, ammise la fragilità della tesi (vedi video).

Un branco di lupi è una struttura sociale fortemente coesa in quanto familiaristica, dove ogni individuo è una componente attiva importante che svolge il proprio ruolo nell’interesse collettivo. Tra gli individui ci sono più interazioni di tipo affiliativo rispetto a quelle agonistiche (vedi tabella sotto). Il compito della coppia alfa è guidare con responsabilità il branco, sempre nell’interesse di tutti, tant’è che si guadagna il rispetto di tutti i componenti senza bisogno di imporsi. Inoltre la reggenza della coppia alfa dura in media 3/4 anni e nella maggioranza delle volte la successione avviene naturalmente, senza competizioni.

capobranco è colui che viene risconosciuto tale

Cosa c’entra tutto questo con i nostri cani? Assolutamente nulla: non provengono e comunque non vivono più in gruppi liberi e selvaggi in natura (eccetto i randagi o i cani da villaggio), pertanto non possono mettere in atto comportamenti sociali peculiari di un gruppo; inoltre anche per i cani randagi o da villaggio, se anche hanno maturato un’esperienza di gruppo, i loro comportamenti sociali avranno un senso funzionale solo in quel gruppo intraspecifico (sarà il gruppo a riconoscere e conferire il ruolo di guida ad un membro e rispetterà le sue decisioni nell’esclusivo interesse collettivo. Tali gerarchie tuttavia non sono sempre rigide…) e non esisteranno in casa con noi che apparteniamo ad un’altra specie e viviamo in contesti urbani.
Come dicono i coniugi Coppinger (una coppia di biologi ricercatori americani, ormai riconosciuti in tutto il mondo come i più raffinati e scrupolosi studiosi sulle origini del nostro cane domestico) :

<< Ma siamo sicuri che il comportamento sociale dei lupi sia genetico? In realtà, no. I comportamenti del branco, come tutti i comportamenti, sono epigenetici – al di sopra dei geni – e sono il risultato di comportamenti appresi durante il periodo critico. […] Se i cani non sviluppano un comportamento sociale da branco nel periodo critico, è inutile scimmiottarne le gerarchie. […] Il fatto che così tante persone credano nell’omologia lupo – branco e la utilizzino nell’addestramento del cane, è un segno di quanto poco si sappia sullo sviluppo comportamentale canino. >>

Nessun capobranco, ma proprietari responsabili

Purtroppo ci si nasconde nel concetto di capobranco confondendo il comando con la responsabilità, e questo fa comodo perchè esercitando un comando dettiamo noi le leggi in base alle nostre comodità, senza bisogno di studi, competenze, conoscenze iniziali, lavoro, sacrifici, rinunce, limiti (tutti aspetti che rientrano invece nel concetto di responsabilità) e senza considerare neanche la personalità e l’individualità del cane, il quale deve soltanto obbedire a prescindere da razza, stato di salute, condizione emotiva, storia pregressa, ecc. (vedi video in fondo)

Semplicemente, i nostri cani non hanno bisogno di un capobranco autoritario, ma di una guida che sappia conoscerli, comprenderli, e che sappia prendere tutte le decisioni quotidiane nel loro interesse, perchè se anche le persone deboli e incapaci possono comandare, solo le persone forti e capaci possono essere davvero responsabili.

Il fantomatico capobranco

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